Il Knowledge Sharing, come dice il termine stesso, altro non è che la condivisione della conoscenza. A tal riguardo, Wikipedia, è un esempio perfetto per spiegare questo termine. Nel XXI secolo, epoca di internet e di velocità del flusso informativo, il concetto viene spesso usato per ribadire l’importanza della formazione aziendale. La conoscenza è stata, infatti, riconosciuta come bene immateriale per creare e sostenere vantaggi competitivi. Permettere ai lavoratori di avere nozioni adeguate e di condividerle con altri è alla base di ogni azienda di successo. Per poter permettere questo percorso di condivisione, però, servono esperti di settore.
Train the Trainer
Per poter condividere le informazioni è necessario che si organizzino incontri face to face con formatori che siano in grado di diffondere la propria conoscenza. Il punto fondamentale di questi corsi è quello di diffondere le informazioni necessarie, ma anche quello di confrontarsi con altri esperti della stessa materia. In cosa si distingue questo genere di formazione da altri? Dal fatto che tutte le informazioni che vengono “distribuite” sono fruibili non solo da chi già ha dimestichezza con l’argomento, ma a tutta la filiera aziendale, indipendentemente dal ruolo ricoperto da ogni singolo lavoratore.
Linguaggio semplice
Per poter far sì che il Knowledge Sharing si sviluppi è necessario evitare un linguaggio tecnico. Questo, infatti, risulterebbe comprensibile solo a chi è del settore, rendendo impossibile la sua diffusione ad un range più ampio. E’, invece, importante saper disegnare percorsi a partire dai bisogni, dalle resistenze e dagli obiettivi reali delle altre persone. Una volta fatto ciò si raccoglieranno i feedback e si testeranno. per poi ricominciare da capo.
Tre step
Il Knowledge Sharing prevede tre step. Il primo prevede la costruzione di una “personas“, ovvero il profilo tipico della persona che si sa o si immagina di avere davanti come platea dell’attività di sharing. Le personas sono uno strumento tipico del design e del marketing e sono necessari per creare un target di riferimento.
Il secondo step consiste nel completare il target preso come riferimento con hard skills (ovvero le competenze tecniche) e soft skills (competenze relazionali). Chiariamo subito: queste sono le competenze che il target di riferimento ha e non quelle che dovrebbe avere. Individuarle è necessario per mettere in evidenza determinate lacune.
L’ultimo passaggio è quello della progettazione. Qui si cercherà di focalizzare l’azione formativa in termini di contenuto per colmare le competenze mancanti oltre che rispondere ai bisogni pratici della personas utilizzando i metodi più efficaci e i migliori meccanismi di ingaggio.
L’obiettivo finale è quello di far in modo che le personas, alla fine del processo di formazione, abbiano acquisito le competenze necessarie.
Questo passaggi